Miracolo al Ponte di Perati
Alla 49ma Adunata degli Alpini l’incontro casuale con un gran personaggio, Dante Chichiarelli, alpino di Rosciolo dei Marsi
Col cappello alpino in testa, la « Bronica » appesa al collo e mia moglie a braccetto, giro per ore e ore per le vie di Padova gremita di Penne Nere. II tempo è bello, ma l’aria è sottile, a volte persino gelida. Siamo tutti e due molto ben coperti, ma la faccia è livida. Il mio naso poi, è tutto un programma. Dato che è piuttosto pronunciato, taglia l’aria che è un piacere ed è di un bel rosso paonazzo che meriterebbe davvero una foto a colori.
Padova, città splendida, è divenuta ancora più attraente con questa specie di pacifica e allegra invasione a cui la stiamo sottoponendo io e altri 399.999 alpini come me. In giro, per le strade, sulle piazze, sotto i portici, non si vedono che cappelli grigioverdi e penne di vario tipo, lunghe, corte, nere e bianche, dritte in su, verso il cielo, o quasi orizzontali, penne d’aquila o anche solo di gallina. Una vera invasione di alpini, tutti in movimento, tutti presi a guardare a destra e a sinistra, o col naso all’insù, ad ammirare i palazzi, le chiese e i monumenti della parte più antica di questa città che, ci tengo a ripeterlo, è davvero affascinante. Dappertutto c’è allegria, nonostante che il momento che stiamo attraversando sia davvero poco felice. La nostra lira ha appena ricevuto una bella sberla, anzi, uno «sberlone». Anche la benzina è andata alle stelle. Ma qui, a Padova, in questi tre giorni del 49° Raduno Nazionale, sembra siano pochi quelli che hanno il tempo di riflettere su queste tristi cose. Ci stiamo pensando noi Alpini a tenere su il morale dei padovani e di tutti quelli che arrivano da altre parti per assistere alla nostra festa più bella.
Passeggiamo senza una méta ben precisa. Il nostro vagabondaggio per le vie di Padova ci porta di fronte ad uno dei tanti pronto soccorso disseminati nei punti più strategici. Qui, al posto degli infermieri col camice bianco, barelle, siringhe, cerotti e lacci emostatici, troviamo altri generi di primo intervento che vanno dalle salsicce, ai panini, ai salamini, oppure agli spaghetti o ai risottini coi fegatini. Il vino buono non manca mai e prende il posto delle bombole di ossigeno. Si possono gustare i vini locali, come il Tocai, il Pinot, il Merlot o il Cabernet, ma c’è anche il nostro Barbera, che per noi Piemontesi è il preferito. L’organizzazione, quindi, non fa una pecca.
Ci fermiamo al pronto soccorso per mangiare qualcosa. Il profumo di salsicce fritte che c’è nell’aria è davvero invitante e non se ne può fare a meno. Il posto è affollato. Ne approfitto per scattare qualche fotografia. I soggetti interessanti non mancano, e cerco di sorprenderne qualcuno. Molti, però, credendo di farmi piacere, si mettono in posa, col petto in fuori, o addirittura sull’attenti. Altri, invece, non si accorgono nemmeno di essere inquadrati da un obiettivo. Continuano a mangiare e a bere, ignari del fatto che qualcuno li sta osservando per cogliere la loro espressione migliore.
Anche Dante Chichiarelli, il personaggio di cui sto per parlarvi, quando comincio a seguirlo attraverso l’obiettivo del mio apparecchio, non si accorge di me. In piedi, in mezzo a un gruppetto di amici, con un panino in una mano e con un bicchierino di plastica bianca nell’altra. Lo vedo sorseggiare lentamente il contenuto del suo bicchiere, con aria alquanto soddisfatta, ma aspetto a scattare la foto per sorprenderlo mentre beve con gli occhi socchiusi. Al petto, sulla giacca, l’alpino che sto per fotografare porta appesa una croce di bronzo, una “croce di guerra”. Mi sposto allora di un mezzo passo per fare in modo che nell’inquadratura ci sia anche quella, ma proprio mentre il mio dito preme il pulsante dell’otturatore, il soggetto gira gli occhi verso di me.
– Mi fa tanto piacere che lei mi fotografi … – mi dice sorridendo e con tono molto gentile – Ma … potrei almeno averla anch’io questa foto? Pagando, naturalmente …
Facciamo subito conoscenza e ci scambiamo gli indirizzi. Colui che ho appena imprigionato nella mia pellicola si chiama Dante Chichiarelli e viene dall’Abruzzo, da Rosciolo dei Marsi, in provincia di L’Aquila. Quando gli chiedo a che Campagna si riferisce la “croce di guerra” che ha appesa alla giacca, mi spiega che si tratta del Fronte Greco-Albanese, sul quale ha combattuto col Battaglione “L’Aquila”, prima sui fiumi Sarantaporos e Vojussa, poi sul Monte Smolikas, poi a Konitza e al ponte di Perati.
Sotto il suo sguardo pieno di curiosità, prendo velocemente qualche appunto sul mio notes, poi mi accorgo che parlare di queste cose, in piedi, proprio nel punto in cui tutti fanno ressa per poter mangiare qualcosa, non va. Spiego allora il perchè della fotografia e del taccuino, e propongo al signor Dante una chiacchierata di mezz’oretta, nelle immediate vicinanze, ma in un posto un po’ più tranquillo. Pensiamo di trovarlo in un bar questo posto più tranquillo, ma sono tutti zeppi e pieni di rumore. Torniamo sulla piazza in cui ci siamo conosciuti, e troviamo un angolino che fa al caso nostro. Lì, seduti su un gradino, quasi per terra, Dante Chichiarelli mi racconta la sua storia, cominciando col parlarmi del suo paese, in Abruzzo.
Rosciolo è un paese agricolo, a novecento metri d’altezza, ai piedi del Monte Velino. Su questa montagna, dieci anni fa, è stata deposta una Madonnina in bronzo che ricorda le Penne Nere cadute in tutte le guerre. Ogni anno, nella prima domenica di luglio, arrivano alpini un po’ da tutte le parti d’Italia, si uniscono agli alpini di Rosciolo, che sono ben sessantatrè, e tutti insieme, in pellegrinaggio, salgono in cima al Velino a dire una preghiera.
A Rosciolo, di famoso, c’è una chiesa molto antica, Santa Maria in Valle, che risale all’anno 1080. Sui particolari di questa chiesa, come il pulpito del 1150, costruito dai maestri Robertus e Nicodemo da Guardia Grele, oppure la transenna di legno che raffigura la cena degli Apostoli, pezzo più unico che lui raro, il signor Dante mi dimostra di sapere tutto. Infatti, è proprio lui il custode della chiesa mi e dei suoi tesori, anzi, per usare le sue stesse parole, mi dice di esserne un « custode geloso », dati i tempi in cui viviamo, e nei quali c’è da aspettarsi di tutto.
Quando veniamo a parlare dell’argomento del libro, Chichiarelli mi racconta della guerra in Grecia e in Albania. È stato prima a Bureli, in Albania, poi a Goritza. Il 28 ottobre 1940, il Battaglione « L’Aquila », sotto una pioggia torrenziale, attraversava il fiume Sarantaporos in piena per mezzo di corde tese da una sponda all’altra del fiume. Poi il primo scontro coi greci, poi il salvataggio a Monte Smolikas di ciò che restava dell’80 Alpini, che era stato decimato nelle vicinanze di Metzovo. Dopo Monte Smolikas, era cominciata una dura ritirata, fino a Konitza, dove era stata ricostruita una linea di difesa. Ma all’undici di novembre i greci avevano di nuovo sfondato le linee italiane e il Battaglione « L’Aquila » era stato costretto a ripiegare ancora, e a portarsi al confine con l’Albania, al ponte di Perati. Lì, nelle vicinanze del ponte, c’era stato un altro violento scontro con i greci, poi una nuova ritirata, fino al Monte Chiarista, che è stato uno dei baluardi più duri per il 90 Alpini dove « L’Aquila » e il « Vicenza » , assieme alle batterie del Terzo da montagna, hanno resistito per più di un mese e mezzo, con tanti sacrifici di morti e feriti…
— La medaglia che porto, — dice Chichiarelli — è una semplice croce al merito… Ma un nostro generale aveva detto che tutti noi che avevamo combattuto laggiù avremmo dovuto ricevere quella al valore, perché l’avevamo meritata tutti…
— Se lei vuole un episodio un po’ particolare, sì, ne ho uno… Mi è capitato al ponte di Perati, che è proprio quello della famosa canzone degli Alpini, il 21 novembre, sempre del ’40…
— Quel giorno i greci avevano dato l’attacco alla zona del ponte. Il ponte, ormai, non c’era più, perché era stato fatto saltare in aria dai nostri genieri, e questo per ritardare l’avanzata dei greci, ma era stata fatta una passerella in legno a una distanza di un centinaio di metri dal ponte distrutto. Io, nel momento dell’attacco, mi trovavo in un casolare, dall’altra parte della passerella, in territorio greco, dato che il fiume Sarantaporos segnava il confine fra la Grecia e l’Albania… Ero appena tornato dall’aver fatto una distribuzione di viveri alle varie Compagnie che erano attestate nella zona del ponte, quando i greci hanno cominciato a colpirci con i loro mortai piazzati sulle alture che dominavano quel tratto del fiume, poi si sono messi ad avanzare verso di noi da tutte le parti. Era un attacco in forze. I greci miravano ad impossessarsi della passerella fintanto che era ancora in piedi, ma il nostro comando, vedendo che era praticamente impossibile tenere quella posizione, aveva deciso di distruggerla. I nostri l’avevano subito cosparsa di benzina e le avevano dato fuoco.
— Noi, cioè io e gli altri che erano con me, nel casolare, ci siamo accorti che la passerella stava bruciando, e abbiamo cominciato a ritirarci, sempre sotto il fuoco incrociato dei greci. Avevo preso con me, oltre al fucile, alcune bombe a mano. A forza di piccole corse e strisciando per terra, dietro ai ripari, ero riuscito a portarmi vicino alla passerella. Le fiamme erano già belle alte, ma non era quello il pericolo… La passerella era lunga quasi cento metri, cento metri che bisognava farseli tutti di corsa, completamente allo scoperto, sotto il tiro delle mitragliatrici dei greci che dall’alto, dalle colline, ci centravano come volevano. Eravamo in molti a voler passare di lì, per non finire prigionieri, ma erano ben pochi quelli che riuscivano a farcela. Intanto il legno della passerella continuava a bruciare, e più si aspettava, più c’era il rischio che crollasse tutto…
— Mi sono messo, a correre con la forza della disperazione… Eravamo in diversi, ma ognuno pensava solo più a se stesso. Cento metri, in quelle condizioni, son lunghi da fare, sa? Ho visto altri cadere, feriti o morti, ma se mi fermavo, ero perduto anch’io! Sentivo le pallottole che mi fischiavano tutto attorno, ma io continuavo a correre, a correre… Quando ho visto quello che era davanti a me cadere, ricordo di aver chiesto aiuto. Ho invocato i miei Santi, San Giuseppe e Sant’Antonio, ai quali sono sempre stato devoto, ho urlato che mi aiutassero e che mi facessero arrivare vivo dall’altra parte… E così è successo! Ero riuscito a passare, non so come, ma sono riuscito… Appena fuori della passerella, mi sono buttato in un fosso. Non ne potevo più! Sono andato a finire in un buco, e sono caduto sopra a una valigia, sì, una valigia aperta e tutta rotta… Qualcuno doveva averla persa, o abbandonata, ma si vedeva che era stata devastata…
Dentro c’erano solo più un piccolo termometro per misurare la febbre, rotto anche lui, e due immagini, due immagini sacre… Le ho prese tutte e due in mano, le ho girate per vedere che cosa c’era scritto dall’altra parte… Erano le immagini di San Giuseppe e di Sant’Antonio da Padova! Erano proprio loro, i Santi che avevo chiamato un momento prima, sulla passerella. Un miracolo? Ho ancora da capire adesso che cosa è stato, ma per me, credo sia stato proprio un miracolo! Come spiegarlo -altrimenti… Il ponte che bruciava con tutti i suoi morti, e io, invece, ero lì, senza un graffio, con in mano quelle due immagini…
— Da allora, le ho sempre portate con me, nel mio portafogli, ma poi ho visto che si rovinavano. Avevano già i loro anni quando io le ho trovate. Una, quella di Sant’Antonio, era del 1906 e l’altra del 1912. Erano state stampate a Milano… Così ho preferito tenerle in casa, dentro al comò. Sono tutte e due molto sbiadite, una è anche strappata, ma se le servono, io gliele spedisco… Certo, per raccomandata! E le manderò anche una mia foto di allora, l’unica che ho della guerra d’Albania. Mi raccomando però di una cosa, signor Capello. Non me le perda…
Dal libro “I racconti degli alpini – storie di naja e di guerra” di Ezio Capello
Nella foto di copertina Dante Chichiarelli, alpino di Rosciolo dei Marsi