GINO TAVI, NOME DI BATTAGLIA “PANTERA”
L’Aviere diventato Alpino per otto giorni
Nome di battaglia “Pantera”. Arruolato per 8 giorni, dal 27 maggio al 5 giugno 1945, con la qualifica di “Alpino collaboratore” con i partigiani del Btg. Fenti, Brigata 7mo Alpini dislocati a Giaon, nella Sinistra Piave.
E’ l’ultimo atto che conclude la storia del periodo bellico vissuto dall’aviere Gino Tavi, classe 1923.
Superata la visita medica a Padova nel gennaio del 1942, Gino è assegnato al corso di addestramento a Varese da dove esce con la qualifica di aviere montatore volontario della Regia Aeronautica.
Prende servizio all’aeroporto San Giuseppe di Treviso, dove rimane fino al 12 settembre del 1943. Una sede tutto sommato tranquilla, come egli stesso ci conferma.
«Ogni due settimane al sabato, potevo ritornare a casa a Salce, per rientrare il lunedì mattina. In fuga, naturalmente. In treno senza licenza e senza biglietto, d’accordo con un commilitone che al contrappello rispondeva “presente” al mio posto. Ed anche quando i controllori mi sorprendevano, riuscivo a sistemare la faccenda, offrendo loro uno sfilatino di pane fresco che portavo sempre con me».
Il 19 luglio del 1943 Gino è schierato nel picchetto d’onore all’aeroporto di Treviso, dove transitano Hitler e Mussolini diretti a Villa Gaggia per lo storico incontro. «Ho visto bene le loro facce scure al ritorno da San Fermo. E ricordo che l’aereo del Führer sbandò alla partenza, poi rientrò in pista, e quindi riuscì a decollare regolarmente».
Dopo l’armistizio dell’8 settembre del ’43, Gino rimane per tre giorni in caserma in attesa del congedo che non arriva.
Poi decide di andarsene con alcuni suoi compagni. Evita così il terrificante bombardamento anglo-americano su Treviso del 7 aprile del ’44, che distrugge quasi mezza città provocando oltre mille morti. L’azione, tra l’altro, fu causata da un errore di interpretazione del comandante americano, che ritenne Treviso l’obiettivo designato, anziché Tarvisio.
Per ritornare a casa, Gino attraversa le campagne trevigiane insieme ai suoi compagni. In una casa di Conoscenti ricevono gli abiti borghesi grazie ai quali riescono a passare indisturbati in mezzo ad una autocolonna tedesca in sosta. Raggiunta la stazione ferroviaria di Montebelluna si dividono, ognuno per la propria destinazione.
Sul treno per Belluno c’è anche Oliva, la madre di Gino, di ritorno da Treviso dov’è andata per portargli gli abiti civili. Ma Gino se n’è già andato. E per uno strano gioco del destino i due si incontrano solo alla Stazione di Belluno. Benché su quella carrozza affollata fossero seduti l’una di schiena all’altro!
Ritornato a casa, Gino riprende il lavoro in una falegnameria di Sois, ma dopo qualche tempo viene convocato dai tedeschi presso le Scuole Gabelli. Qui gli dicono che deve lavorare con l’Organizzazione Todt, per la costruzione di opere di difesa a Longarone e al Mas. I tedeschi, infatti, prevedevano l’avanzata degli anglo-americani.
Ma non essendo in buone condizioni di salute, Gino in un primo momento si oppone fermamente alla richiesta. Poi, sotto la minaccia di essere impiccato sul posto, accetta di andare a lavorare ad Orzes.
Anche qui fa presente le sue precarie condizioni fisiche. E il responsabile del cantiere decide di esonerarlo dal lavoro.
Così se ne torna a casa, dove inizia l’attività di falegname in proprio, insieme a Giovanni Bortot e Mario Roni, anche loro di Salce.
Saranno loro a costruire le 5 croci di legno per le tombe dei 5 tedeschi caduti nello scontro a fuoco con i partigiani a Porta Feltre il I maggio del 1945, ultimo giorno di guerra per Belluno.
Nel gennaio del 1946 Gino indossa per l’ultima volta la divisa di aviere, infatti è richiamato in servizio per sei mesi all’aeroporto di Galatina (Lecce).
Nel 1983 sarà socio fondatore della Sezione di Belluno dell’Associazione Arma Aeronautica con l’incarico di alfiere nelle cerimonie ufficiali.
E’ socio benemerito iscritto nell’albo d’oro dell’Associazione Arma Aeronautica Nazionale.
Roberto De Nart per il Col Maòr n. 1 del 2007