QUANDO ARRIVAVANO GLI ALPINI, IL PAESE SI FERMAVA

QUANDO ARRIVAVANO GLI ALPINI, IL PAESE SI FERMAVA

Ricordi d’inverno: l’accoglienza calorosa dell’Appennino Tosco-Emiliano alle batterie del Gruppo Agordo nel 1971, tra stufe accese, strette di mano e orgoglio condiviso.

Quando gli Alpini scendevano a valle, l’accoglienza era una festa di popolo. C’erano anni in cui bastava il suono cadenzato degli scarponi sul selciato o il profilo inconfondibile del cappello con la penna nera perché un’intera comunità si mettesse in moto. Non servivano grandi proclami né eventi mediatici: bastava sapere che in paese stavano arrivando “gli Alpini”.

Quanto segue è un ricordo, scritto dai Montagnini della Zannettelli, su una loro splendida pubblicazione che ho trovato sul loro Gruppo Facebook e che mi sono permesso di scaricare e troverete CLICCANDO QUI.

Era febbraio 1971, pieno inverno, e le popolazioni dell’Appennino Tosco-Emiliano si prepararono ad accogliere le batterie del Gruppo AGORDO in escursione. E lo fecero come si accoglie chi fa parte della famiglia, con una calorosa semplicità che oggi commuove ancora a raccontarla.

Case aperte, tavole imbandite, strette di mano sincere. Gli Alpini, col loro passo deciso e lo sguardo fiero ma umile, portavano nei borghi un soffio di solidarietà e orgoglio nazionale. E la gente rispondeva con rispetto, gratitudine, affetto autentico, come lo descrive questo splendido articolo:

Riflessioni sulle escursioni invernali del Gruppo Agordo – 1971

(Articolo pubblicato su “L’Artigliere” – Giugno 1971)

Parlare di ciò che si è appena fatto può essere pericoloso: si corre il rischio di apparire presuntuosi o retorici. Soprattutto se si tratta di artiglieri da montagna, notoriamente amanti del silenzio e per nulla inclini a gloriarsi delle “bufere” passate… se non, forse, con qualche bella ragazza per scopi più o meno sentimentali.

Ciò non toglie che si possa, per un attimo, ricordare insieme quel periodo che va sotto il nome di “campo invernale” — o meglio, “escursioni invernali”, come si dice in gergo addestrativo, forse per non evocare, con la parola “campo”, l’immagine di allegre scampagnate.

Noi del Gruppo Agordo abbiamo trascorso il mese di febbraio sull’Appennino Tosco-Emiliano, lontani dalla nostra sede. E forse, più di altri gruppi, abbiamo toccato con mano l’importanza di una preparazione accurata: non potevamo permetterci il lusso di sbagliare, dimenticare qualcosa o partire con materiali non perfettamente a punto.

I giorni della preparazione sono stati intensi ma interessanti: si è perfezionato l’amalgama tra i “vecchi”, ricchi dell’esperienza del campo estivo, e i giovanissimi, forse un po’ intimoriti da ciò che li aspettava, ma molto volenterosi.

La partenza è stata per tutti una festa: ci si era preparati con coscienza, dalle catene per gli automezzi ai calzini di lana. Finalmente cominciava il “campo”. Lo zaino era pesante, ma sfilando per le vie di Feltre, dietro la fanfara, per andare alla stazione, non c’era un artigliere che strascicasse i piedi o non tenesse la testa alta — specialmente noi del Reparto Comando (o era una Batteria Comando?), che per varie ragioni avevamo già lo zaino sul treno, insieme ai materiali del gruppo… e ai muli!

Dal semplice artigliere al non più giovane Comandante, in tutti si leggeva la stessa, accorata fierezza di appartenere — senza offesa per nessuno — alle più belle truppe di questo pianeta. E il cane Bill, pastore tedesco da valanga, oltre a tenere il passo e la testa alta… teneva alta anche la coda.

In Emilia, l’accoglienza è stata più che calorosa: dai numerosi striscioni di benvenuto agli sguardi di tante belle ragazze, dai saluti di tanti vecchi artiglieri — tutto è stato il miglior energetico nei momenti di stanchezza.

Chi va in montagna conosce la magia. Sì, certo, andarci da artiglieri in servizio comporta sveglie troppo vicine al silenzio serale, ma dopo i primi chilometri di “riscaldamento” si prosegue più facilmente. Lo zaino pesa sempre, ma non dà più fastidio, il mulo smette di spingere, e la batteria avanza come legata da un filo invisibile, nello stupore delle ore che precedono e accompagnano il sorgere del sole, in perfetto silenzio.

Quando la fatica si fa sentire, si stringono i denti, si guarda il comandante per un cenno d’intesa e si va avanti. I legami di solidarietà stretti in marcia si rinsaldano la sera, attorno a un tavolo, tra un bicchiere e l’altro, ricordando momenti belli, indimenticabili, passati o presenti che siano.

Così, tra un bicchiere e l’altro (e qualcos’altro), si è arrivati alla fine delle escursioni. È stata per tutti una prova. I comandanti avranno tratto insegnamenti tattici e logistici, ma credo che la vera utilità sia stata per noi: abbiamo capito che si possono fare cose che a prima vista sembrano impossibili.

Si possono, per esempio, scavare in tre giorni sette chilometri di trincee nella neve alta più di un metro e mezzo. Si può dormire in truna senza prendere il raffreddore. E anche se, da borghesi, certe cose potranno sembrare inutili, servono: l’impegno, la forza morale di farcela, l’abitudine ad aiutare chi ha bisogno e a lavorare duramente, in silenzio, per uno scopo comune.

Sono cose che, insieme ai ricordi e al foglio di congedo, porteremo a casa. E non potremo dimenticare.

— Uno del Reparto Comando

Quello spirito non è mai davvero scomparso. Lo ritroviamo ancora oggi in ogni Adunata, in ogni incontro fra vecchi commilitoni, in ogni piccolo paese che si illumina al passaggio degli Alpini.

Perché gli Alpini non sono solo un Corpo militare: sono un pezzo di identità collettiva, fatta di valori veri, di servizio, di comunità.

Ecco perché oggi, più che mai, dobbiamo difendere quella memoria, quella fierezza e quello straordinario legame con la gente. Anche quando qualcuno — senza averlo mai vissuto davvero — prova a metterlo in discussione.

In un tempo in cui le comunità rispondevano con affetto e gratitudine al passaggio degli Alpini, nessuno si sarebbe sognato di trasformare un momento di unità e memoria in terreno di polemica politica.

Oggi, di fronte a certe critiche sterili e pretestuose, basta guardarsi indietro per ricordare da che parte sta ancora e davvero il cuore del Paese.

Buona Adunata a tutti! E…

…W GLI ALPINI! SEMPRE!

Michele Sacchet

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