Patria: un valore da rinverdire
Per gentile concessione della rivista “Rassegna” dell’ANRP proponiamo ai nostri lettori il seguente articolo (di Aramis Ammannato) che riteniamo meriti attenta considerazione.
E’ già passato qualche tempo dall’intervista rilasciata dal presidente del Consiglio on. Giuliano Amato al giornalista Massimo Giannini e pubblicata su “Repubblica”.
In tale intervista il presidente del Consiglio non mi sembra che abbia indicato tra i valori laici, da contrapporre a quelli cattolici, il valore della Patria.
E’ un valore, questo, che è andato, purtroppo, sbiadendosi col tempo a cominciare dalla fine del secondo conflitto mondiale, in omaggio forse alla legge fisica che “ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”, data l’eccessiva esaltazione fattane durante il periodo fascista. E’ giunto il tempo, io credo, di restaurare questo valore; e ciò può farsi fin d’ora, a mio parere, mettendo a confronto le personalità che hanno dato lustro all’Italia e quelle che lo hanno dato agli altri paesi; confronto numerico che, di per sé, dovrebbe suscitare o risvegliare negli Italiani l’orgoglio di esser tali.
In nessun altro paese come in Italia, infatti, sorgono così numerose le “urne dei forti”, le urne cioè che conservano le spoglie di tante persone che hanno portato un contributo indelebile al progresso dell’umanità, sia nell’arte che nella poesia, nella filosofia come nella scienza.
E proprio all’Italia è riconosciuta la presenza nel suo territorio del 60 per cento delle opere d’arte sparse nel mondo, mentre del restante 40 per cento una buona percentuale è opera degli Italiani, i cui prodotti artistici furono sottratti al nostro paese da chi nei secoli passati I’ha occupato e, soprattutto, da parte di Napoleone Bonaparte nella sua campagna d’Italia.
Fin dai primi anni di scuola dovrebbe venir evidenziato il fatto che il sentimento per un’Italia unita è stato sempre vivo nel nostro paese e che le sue tracce più significative possiamo trovarle nella poesia di Francesco Petrarca e Giacomo Leopardi.
Come avrebbero potuto i nostri eroi del Risorgimento giungere ad un’Italia unita se il sentimento di appartenere ad un’unica nazione non si fosse mantenuto vivo nei secoli?
La mia generazione, forse tra le ultime, è stata educata fin dalle classi elementari al rispetto degli artefici del nostro Risorgimento e ad onorarne la memoria (a monte bisogna però preparare in tal senso anche gli insegnanti, ndr).
E’ un insegnamento da riprendere con il massimo impegno, tanto più dopo aver avvertito il pericolo emerso dall’annuale convegno riminese di “Comunione e Liberazione”, dove si è tentato di ribaltare la nostra storia esaltando, in contrapposizione alle figure di Cavour, Mazzini, Garibaldi e Vittorio Emanuele II, quella di Papa Pio IX, che fu l’ultimo tra i vari capi di stato italiani ad opporsi all’unità d’Italia.
Non è nelle mie intenzioni disconoscere il ruolo della Chiesa Cattolica in difesa di certi valori universali, ma non meno importante mi sembra sia il ruolo dei laici in difesa dei loro valori. Tra cui fa spicco, in quanto di piena attualità, quello dell’abolizione della pena di morte illustrato da Cesare Beccaria nella sua famosa opera “Dei delitti e delle pene”.
Se si fosse partiti dal principio che solo la Chiesa Cattolica sia depositaria della verità, l’umanità non avrebbe fatto neppure un passo avanti sulla via del progresso e noi saremmo ancora alla concezione tolemaica del mondo.
Ne discende, quindi, che per migliorare le condizioni dell’Uomo è necessario il confronto delle idee, che si può avere solo tra due forze antagoniste.
Ma se la Chiesa Cattolica difende i suoi valori, è necessario che anche lo Stato difenda i suoi, in ossequio anche all’insegnamento evangelico: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”.
E tra questi valori il primo posto, a mio parere, spetta ovviamente a quello di Patria, ormai svilito, come ho accennato dianzi, a causa soprattutto di una guerra persa. E’ stata una guerra che, avendo provocato un profondo trauma psicologico negli animi di coloro che l’hanno combattuta, non ha consentito ad essi di trasmettere ai propri figli le ragioni a difesa di un valore che prescinde da una vittoria o da una sconfitta, poiché si tratta di un sentimento che lega le generazioni del presente a quelle del passato e legheranno, ovviamente, queste a quelle future.
Spetta ai giovani, la parte verde della nostra società, rinverdire tale valore facendo leva, ripeto, con giusta fierezza sul contributo di civiltà che i loro antenati più illustri hanno dato al progresso civile dell’umanità e che nessuna nazione al mondo può vantare così numerosi.
Come più volte appare nel testo dell’articolo, si tratta di considerazioni del tutto personali, che possono essere condivise o meno, non vogliono essere assolutamente dissacranti, e sono sgorgate da chi la guerra, anche se non voluta, l’ha dovuta subire e combattere, sopportando poi tanti duri mesi di prigionia.
Umano e comprensibile quindi l’attaccamento all’ideale di Patria.
Dalla Prima pagina del Col Maòr n. 1 del 2001